La pittura piemontese tra la seconda metà dell'Ottocento e il primo Novecento

Molto spesso andando per botteghe antiquarie e gallerie d'arte o anche curiosando nei “mercatini delle pulci” capita di imbattersi in opere di alta levatura e fattura, firmate da pittori piemontesi, il cui nome risulti legato ad importanti esposizioni ottocentesche e del primo Novecento nazionali o regionali, come quelle presso le Promotrici o il Circolo degli Artisti di Torino.

Oggi riconosciamo quelle stesse firme autorevoli su molte opere conservate presso la Galleria d'Arte Moderna o nei vari Musei Civici del capoluogo piemontese.
Non sempre è stato così, per molto e troppo tempo, la pittura piemontese di quest'epoca non ha goduto del giusto merito, in quanto messa in subordine rispetto ad altra nazionale (toscana, lombarda, romana) perché di gran lunga più conosciuta e valorizzata.

Grazie all'opera di Eraldo Bellini, che nel 1998 ha raccolto nel volume Pittori piemontesi dell'Ottocento e del primo Novecento (dalle Promotrici Torinesi), scopriamo questi nomi a lungo ritenuti “minori” essere non tanto “sconosciuti”, ma dimenticati ed essere tornati alla luce della ribalta per una questione di giustizia artistica. Infatti come dice Bellini : “la buona pittura dovrebbe sempre essere valorizzata in quanto tale”.


vercelli - paesaggio con figura


Giulio Romano Vercelli, "Paesaggio con figura", olio su tela



Tre grandi nomi hanno firmato il panorama piemontese dalla seconda metà dell'Ottocento, riassumendo il gusto e lo stile della rappresentazione subalpina: Fontanesi, Avondo e Delleani.

Antonio Fontanesi (Reggio Emilia 1818-Torino 1882), malgrado l'origine emiliana esercitò una forte influenza sui pittori torinesi durante l'insegnamento all'Accademia Albertina. Vittorio Avondo (Torino 1836-1910 ), il cui denso cromatismo ha influenzato tanta pittura paesistica piemontese, da Massimo d'Azeglio, a Carlo Piacenza, a Vittorio Cavalleri, a Marco Calderini.

Infine Lorenzo Delleani (Pollone di Biella 1840-Torino 1908) con la sua pennellata rapida e vivace rappresenta il contrapposto cromatico al chiaro-scuro quasi monocromatico del Fontanesi.

Sotto la loro guida si possono ripercorrere le tappe significative di una storia pittorica regionale che ci ha lasciato eredi di un patrimonio artistico di alta espressione, che solo in questi ultimi decenni ha visto riattribuirsi il giusto valore. 

Una storia pittorica “di alto fervore culturale che fece di Torino fra il 1880 e il 1902 con le Quadriennali e le Triennali il maggior e più vivo centro artistico italiano” (Marziano Bernardi, Ottocento piemontese. Scritti d'arte, Torino 1946).

Per capire il periodo però dobbiamo calarci nell'atmosfera del XIX secolo e analizzare le premesse che portarono ad un rinnovamento della concezione pittorica di fine '800, soprattutto nel genere del paesaggio.


maniscalco, lupo

"Maniscalco", olio su cartone firmato A. Lupo


La natura "en plein air" dei pittori romantici


L'800 nasce e si sviluppa per buona parte sotto il segno del Romanticismo. Ogni ambito di attività intellettuale, dalla filosofia all'arte, dalla letteratura alla musica si esprime mediante canoni prettamente romantici.

Innanzitutto la natura e di conseguenza il rapporto uomo-natura assume una visione del tutto nuova e diversa dalle precedenti. Essa è espressione del divino in terra, dell'infinito nel mondo sensibile, di cui l'uomo è un'effimera manifestazione che si immerge in essa identificandosi.

Una natura sconfinata che dà senso d'impotenza dell'uomo, essere finito di fronte alla natura, manifestazione infinita.

Una natura che fa scaturire sentimenti contrastanti in grado di terrorizzare quanto di rasserenare.

L'artista mediatore tra finito ed infinito rappresenta ciò che l'uomo comune non coglie: atmosfere misteriose di una natura pacata e calma, fonte di rasserenazione per l'uomo, oppure di una natura drammatica, burrascosa con tempeste e temporali.


Olio su tavola firmato M. Calderini, raffigurante un sottobosco

Olio su tavola firmato M. Calderini, raffigurante un sottobosco



Si diffonde dalla Germania con l'opera di Caspar Friedrich (1774-1840) e poi in Inghilterra, Francia; in Italia successivamente, con un ritardo analogo a quello avvenuto in ambito letterario.

Infatti nell'800 sembrò aver termine quel primato culturale che aveva posto il Bel Paese all'avanguardia nell'arte per molto tempo. 

Sino al XVIII secolo vi era la convinzione che la pittura di paesaggio non potesse rappresentare eventi o idee nobilitanti. 

Invece con il XIX secolo la pittura di paesaggio diviene un genere indipendente e acquista la stessa dignità della pittura storica. Infatti con la rinnovata concezione del rapporto uomo-natura, come luogo di esperienza spirituale dell'uomo, trovandosi, egli stesso, immerso e coinvolto, può riconoscere nella fusione con essa l'unica vera realtà umana. 

Friederich dipinge l'uomo colto di spalle, immedesimato in ognuno di noi, che contempla la profondità del paesaggio cui è rivolto e lo spazio tende a dilatarsi in quel fondo all'infinito. I continuatori di Friederich persero quella profondità drammatica e quella dimensione spirituale conservando solo il romanticismo del paesaggio. 

Parallelamente in Inghilterra le scene erano dominate dalle ambientazioni agresti di Constamble e dai paesaggi tempestosi di Turner. 



"La volpe sorpresa", olio su tavoletta, Carlo Piacenza



Ciò che promanavano quelle tele era una forte evocazione del paesaggio, quasi partecipazione fisica agli eventi atmosferici da far dimenticare quel che di nuovo e di rivoluzionario stava accadendo nel secolo: la rivoluzione industriale e tecnologica.

Tali concezioni sarebbero progressivamente maturate in tanta pittura francese successiva: Jean-Baptiste Camille Corot (1796-1875) il maggior paesaggista dell'epoca e precursore della pittura en plein air e di quella realista, fu animato dal proposito di rinnovare il genere del paesaggio, in comune agli esponenti della scuola di Barbizon (anche detta di Fointainebleu), dove nel 1835 Theodore Rousseau, Millet, Daubigny, Decamps elaborarono una nuova consapevolezza della solitudine dell'uomo di fronte alla natura.

Una natura distaccata dalla stretta osservanza di canoni accademici, di ascendenza settecentesca, ma una natura “dal vero”, colta per mezzo di ciò che l'occhio umano era in grado di percepire; spunti che saranno alla base del Realismo e dell'Impressionismo.

La pittura en plein air ben esprime il significato di pittura dal vero, mediante cui riprodurre  colori e accenti della natura con tale ansia da far pensare che sia nata dal timore di una imminente degradazione del paesaggio ad opera delle macchine, delle fabbriche e della  volontà dunque di preservare il più possibile quella natura minacciata.


paesaggio di montagna, A. Vercelli

Olio su tavoletta firmato Vercelli raffigurante un paesaggio di montagna



L'artista italiano di metà-fine '800, dunque, si trovò spesso sospeso tra la continuità di una tradizione accademica e l'accettazione dei nuovi fermenti provenienti dall'estero.

Accettazione della nuova raffigurazione del paesaggio in chiave verista che in Italia si realizzava nella natura dei campi, nel lavoro duro dei contadini, dei buoi che tirano l'aratro: scene di vita reale, di popolani al mercato, con scorci della città più periferica, più dura, o panorami montani nelle loro asperità alle luci dell'alba o di un tramonto, con sapiente resa dei chiaro-scuri, ma sempre colti dal vero. 

Tale fervore culturale a Torino, nell'ultimo ventennio del secolo, se non si espresse con ardore polemico come in altri centri italiani, in cui presero vita vere e proprie istituzioni di cenacoli (basti pensare al fiorentino Caffè Michelangiolo che definì precisi programmi estetici), s'inserì in quel contesto di rinnovamento contemporaneo a tali movimenti: dai Macchiaioli toscani ai Romantici e Scapigliati lombardi.


Olio su tavoletta raffigurante un paesaggio firmato Andrea Tavernier

Olio su tavoletta raffigurante un paesaggio firmato Andrea Tavernier 



Gli artisti di Rivara


La scuola di Rivara, dal nome del paese nel cuore del canavese, presso cui si trovava a dipingere ogni estate un gruppo di artisti, firmò un importante sodalizio artistico piemontese. Nata intorno al '60 e durata fin verso l'80 mantenne sempre e sviluppò l'interpretazione sentimentale insieme ad una ben definita ricerca del particolare realistico; cercò sempre il bello nel vero e studiò indefessamente la natura, non senza una vena malinconica, tratto peculiare della pittura subalpina.

Fondatore del gruppo fu Carlo Pittara (Torino 1836 - Rivara 1891), attorno al quale si riunirono Vittorio Avondo, che come il Fontanesi studiò a Ginevra alla scuola di Calame, e tanto fu il contributo della sua tavolozza fatta di colori chiari e diversificati, Ernesto Rayper (il cui ruolo non fu secondario al Pittara), Federico Pastoris, il portoghese Alfredo d'Andrade. 

Negli stessi anni Fontanesi accorreva a dipingere a Volpiano, non lontano da Rivara, dando vita ad un altro gruppo di seguaci nelle cui opere, pur con le dovute differenze per temperamento e ideali artistici dalla scuola di Rivara, sono riscontrabili anche le influenze reciproche tra le due scuole. 

Fontanesi si trasferì da Reggio Emilia a Torino nel 1847, fu a Parigi per l'Esposizione Universale del 1855 dove s'interessò alla pittura di Corot e Barbizon. Dal '69 fu docente  di paesaggio alla Regia Accademia Albertina e dell'epoca sono i dipinti più noti: L'aprile, La stalla, Solitudine, dalla luminosità e colori velati che tendono alla monocromia. Lo studio della luce fu una costante del suo stile, anche nella produzione di acqueforti (Sole d'inverno). 

Gli artisti di Rivara “s'erano messi a studiare la campagna con un amore, con uno slancio libero e schietto…secondavano anch'essi la universale aspirazione verso la realtà. Sbozzavano i loro quadri dal vero e il più spesso li terminavano sul vero…Quella piccola schiera novatrice, allorché scese nella lizza delle mostre artistiche, sollevò tremendi uragani. Il pubblico, educato da lungo tempo a scorgere nei quadri di paesaggio, non già il paesaggio, non già il vero…recalcitrò gridò all'assurdo…” (Giovanni Camerana). 


Stupendo paesaggio olio su cartoncino firmato Carlo Follini
 
Stupendo paesaggio olio su cartoncino firmato Carlo Follini



Lorenzo Delleani


Lorenzo Delleani ebbe un trascorso da pittore accademico sino a quando nell'Esposizione di Milano del 1881 non si fece conoscere quale paesista e colorista della vita colta dal vero. Ci ha lasciato una feconda produzione di tavolette (di due formati) caratterizzate dal suo tocco rapido en plein air e centinaia di studi realizzati in 28 anni di attività.

Numerosi i paesaggi di montagna dai toni brillanti e dalla pennellata pastosa e veloce.

Il suo tocco, così incline ai modi rapidi, è stato definito da Angelo Dragone nella monografia del pittore (1974) “un'impressione senza impressionismo che consiste nel subitaneo rapimento dell'occhio e dell'inconscio di fronte a quello scampolo di vero scaturito dal senso stesso del colore: un 'senso' che poteva vivere e dominare nel paesaggio delle tavolette come nel particolare riuscitissimo di altre opere…nelle tavolette si manifesta il temperamento del loro autore con un'espressione che non ha carattere di studio e non aspira a diventare quadro poiché le basta di essere lo stile di un'impressione”. 

I soggetti non erano la Torino Barocca con i suoi edifici del centro, da Palazzo Reale a Palazzo Madama a Palazzo Carignano e neppure le zone più romantiche come i Giardini Reali, ma i dintorni con i suoi campanili, con un pezzo di Mole in costruzione, scenari di una città più nascosta. 

Il Balon del 1891, fotografato da un angolo del caratteristico mercato di Porta Palazzo riconferma la simpatia del pittore per gli aspetti più umili del quotidiano nobilitandoli con la sua pennellata. 

Giornata di fine ottobre (28.10.1981) dalle calde sfumature avvolgenti figure di popolane intorno ad un falò acceso in piazza. In alto il cielo sfuma in un grigio-azzurro nel quale si stagliano edifici tra cui si erge la cima della chiesa della Consolata. 

Opere quali Donna alla rocca, in cui una donna seduta di spalle vicino alla finestra di casa lavora alla fioca luce di una breve giornata di dicembre, Nei campi a novembre, La madre rappresentano i temi e i luoghi più cari al Delleani: interni di scuderie, ovili, ambienti rustici ed intimamente famigliari.


Olio su tavoletta firmato Vercelli raffigurante un casolare con figure

Olio su tavoletta firmato Vercelli, raffigurante un casolare con figure



Il Circolo degli Artisti



L'800 è stato anche il secolo di un coinvolgimento di un maggior numero di produttori e fruitori d'arte. Le teorie romantiche della pittura come espressione individuale e creazione spontanea e ancora maggiormente la modalità en plein air indussero molti a cimentarsi nell'arte e anche la committenza si ampliò molto formando un determinato pubblico che vedeva, ad esempio, nel possesso di un ritratto di famiglia un mezzo di promozione sociale.

Sorsero perciò in gran numero le scuole civiche di pittura, a cui si affiancarono diverse società promotrici con la funzione di organizzare le varie esposizioni. 

Anche il Circolo degli Artisti rivestì un ruolo importante nella storia delle mostre torinesi. 

Lo stesso Delleani ne fu vice-presidente a partire dal 1891, quando fu un centro vivo e fiorente e tra le norme del regolamento era il divieto dei giochi in sala, al fine di aprirle prettamente solo agli amanti delle lettere e delle arti.

Era il 1847 quando l'avvocato Luigi Rocca ed altri sette amici inaugurarono una società di letterati ed artisti che avevano eletto come sede dei loro incontri settimanali il caffè del Rondò nell' allora piazza Vittorio Emanuele. Dopo lunghe trattative circa una decina d'anni dopo il circolo si trasferì nella nuova sede di via Bogino che occupa tutt'ora.

Facevano parte dell'elenco degli iscritti Massimo d'Azeglio, il conte Camillo Benso di Cavour, Vincenzo vela (scultore), Rodolfo Morgari, Francesco Gonin, Carlo Pittara (pittori). Delleani vi si iscrisse nel 1861, nello stesso anno di Avondo.


Olio su tavoletta firmato Vittorio Cavalleri, raffigurante una sposa prima del taglio della torta nuziale
 
Olio su tavoletta firmato Vittorio Cavalleri, raffigurante una sposa prima del taglio della torta nuziale



Di quell'epoca degna di nota fu la festa dei fiori all'interno del circolo, per il cui allestimento ci si era affidati ad intere equipe di pittori e scultori capitanati da Delleani, Carpanetto, Cavalleri. Ogni ambiente era trasformato in serre e giardini con fiori provenienti da ogni parte del mondo. Il salotto d'ingresso per intervento di Paolo Gaidano era scomparso sotto una cascata di glicini, mentre la galleria assunse un'atmosfera egiziana dedicata al fior di loto. Nella sala delle rose sempre il Delleani fu impegnato nella realizzazione di un panorama dipinto con piante e statue in un ambiente costituito da logge, balaustre, vasi e fontane. La sala dell'oleandro fu progettata dal Carpanetto: un grande albero occupava il centro della stanza ed altri più piccoli erano allineati alle pareti. 

Un'ultima sala era adorna di gigli ed un potente gioco d'ombre colpiva l'occhio dello spettatore, ideato da Cavalleri e Canonica. 

Al Circolo degli Artisti, alle Promotrici torinesi e in varie esposizioni di risonanza regionale presenziarono molti pittori piemontesi formatisi all'Accademia Albertina e molti furono allievi dei tre grandi di cui abbiamo scritto sopra.



Manuela Alotto


Alberto Pasini, olio su tela intitolato “L'attesa”

Alberto Pasini, olio su tela intitolato “L'attesa”

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