L'incisione in Europa: origini, storia ed evoluzione nei secoli

L'incisione è una delle più antiche forme di espressione artistica e molto coltivata non solo quale fine a se stessa, ma anche come strumento di riproduzione di opere originali su altro supporto, e largamente impiegata nelle arti applicate: basti pensare ai punzoni per sigilli, e alle matrici per monete e medaglie. 
Anche la glittica rientra nell'ambito dell'arte incisoria, in quanto arte d'intagliare e incidere gemme e pietre dure, finalizzata alla creazione di oggetti decorativi ma anche funzionali: cammei con lavorazione in rilievo o gemme incise e scavate in profondità erano usate anche come sigilli.  

Ma partendo dalle origini potremmo parlare di diversi generi di incisioni; di quelle preistoriche sulle pietre (incisioni rupestri), sulla ceramica (incisioni a crudo e a secco), di quelle in età classica (sulla ceramica greca a figure nere) e di quelle nella decorazione dei metalli (specchi greci ed etruschi) e parietali (graffiti). 
Attraverso il tempo essa trovò largo impiego venendo applicata ai materiali più disparati sino ad arrivare ai giorni nostri. 






La diffusione dell'incisione è però legata alla nascita della stampa d'arte, ossia dell'immagine incisa solitamente su una matrice lignea, metallica o di pietra, impressa su di un supporto cartaceo mediante un procedimento d'inchiostrazione e di successiva stampa. 

Verso la metà del 1300 in città quali Treviso, Padova, e Fabriano si incominciò ad utilizzare pezze di lino per la produzione della carta e nel contempo in tutta Europa, soprattutto nei monasteri, anonimi artigiani contribuirono a diffondere le prime incisioni stampate su carta illustranti immagini devozionali, episodi tratti dalla vita di Cristo e dei santi. 
Esse furono realizzate su superfici lignee secondo la tecnica storicamente più antica della xilografia, che decadde nel XVI secolo, ma che già verso la fine del '300 era usata per stampare stoffe, immagini popolari e carte da gioco, dapprima in Italia e Germania. 






Le incisioni xilografiche più antiche sono la Madonna di Bruxelles del 1418 e il San Cristoforo (Manchester, J. Rylands Library) del 1423. 
Comunque gli esemplari risalenti al secolo XIV sono molto rari, invece fu largamente praticata nell'ambito dell'illustrazione del libro nel secolo successivo. 

Tecnicamente il torchio xilografico è composto da un piano di legno o di metallo orizzontale sul quale si abbassa un secondo piano sovrapposto ad esso. 
La matrice inchiostrata è posta tra i due piani e su di essa il foglio di carta sul quale verrà impressa l'immagine mediante una pressione che trasferisca l'inchiostro dalla matrice di legno al foglio, abbassando la parte superiore del torchio. 



Xilografie giapponesi, epoca XVIII-XIX secolo, attribuite alla scuola Hiroshige ANDO (1797-1858)  
 
Xilografie giapponesi, epoca XVIII-XIX secolo, attribuite alla scuola Hiroshige ANDO (1797-1858)

Xilografie giapponesi, epoca XVIII-XIX secolo, attribuite alla scuola Hiroshige ANDO (1797-1858)



In Europa la fortuna dell'arte incisoria crebbe in seguito allo sviluppo di procedure tecniche finalizzate ad altre funzioni, come detto inizialmente, quali l'uso di marchi e sigilli; l'inizio del XV secolo segna in Germania e Paesi Bassi l'introduzione della nuova tecnica a bulino praticata dai maestri orafi e argentieri che comporterà un innovativo sistema di stampa, decretandone l'affermazione verso la prima metà del XV secolo. 
Il bulino è uno strumento munito di una punta metallica tronca e tagliente che incidendo la matrice metallica (solitamente di rame), crea solchi di una profondità d 1 o 2 mm, poi inchiostrati, mentre un foglio inumidito è fatto penetrare nelle linee incise mediante un procedimento calcografico (incisione in cavo) opposto a quello xilografico (incisione in rilievo). 

Il torchio calcografico è composto da due grossi cilindri, anticamente in legno, metallici in tempi moderni, montati orizzontalmente uno sull'altro in mezzo ai quali scorre un piano metallico o ligneo su cui è collocata la matrice inchiostrata e su di essa il foglio di carta da stampare. 

La nuova tecnica della calcografia nacque sicuramente nelle botteghe orafe di Firenze intorno alla metà del XV secolo, anche se Giorgio vasari nella I edizione delle Vite (1550), attribuisce al Mantegna la paternità della tecnica della stampa su rame, mentre nella II edizione (1568) dice che ne avrebbe appreso l'arte durante il soggiorno romano verso la fine degli anni '80 del Quattrocento, studiando le stampe del Baldini, ma ancora in un altro passo decreta Maso  Finiguerra il pioniere dell' incisione su rame. 






L'opera ad incisione su metallo più antica è la Flagellazione di Berlino (1446). Il segno netto del bulino unito allo stile individuale dell'artista consentivano più che nella xilografia caratterizzazioni stilistiche. 
Martin Schongauer (seconda metà del Quattrocento), formatosi nella bottega del Maestro E.S. (così chiamato per il suo monogramma) fu un grande autore di composizioni, da un lato suggestive e armoniche e dall'altro di opere a carattere fantastico, a tratti inquietanti. In Italia, un'opera sicuramente degna di nota nell'ambito delle calcografie è il combattimento d'ignudi di Antonio del Pollaiolo (circa 1470), mentre Andrea Mantegna rappresenta l'interprete più significativo del Rinascimento nord italiano. 
Autore di incisioni a bulino caratterizzate da un forte gioco di chiaro-scuro, sono state considerate veri capolavori dell'epoca. 

Tiensi ancora memoria grandissima dello onorato viver suo e de' costumi lodevoli che egli aveva, e dello amore col quale insegnava l'arte a gli altri pittori. Lasciò costui alla pittura la difficultà degli scorti delle figure al di sotto in su: invenzione difficile e capricciosa; et il modo dello intagliare in rame le stampe delle figure, comodità singularissima veramente per la quale ha potuto vedere il mondo, non solamente la baccanaria, la battaglia de' mostri marini, il Deposto di croce, il Sepelimento di Cristo, la Resurressione con Longino e con Santo Andrea, opere di esso Mantegna, ma le maniere di tutti gli artefici che sono stati 
(Giorgio Vasari, Le vite). 






Delle sette attribuite al Mantegna, sei corrispondono a quelle che il Vasari cita nelle sue Vite. Quattro sono di carattere mitologico, forse ideate come modelli decorativi per le dimore dei Gonzaga a Mantova, d'ispirazione classica nei soggetti, nel formato rettangolare e nella modellazione delle linee che richiamano palesemente i rilievi dei sarcofagi romani. Le altre sono a tema religioso, tra cui la Madonna col Bambino (1466), la più pregiata tra tutte. La figura della Madonna, priva di aureola ha indotto la critica a ritenere che l'intenzione dell'autore fosse quella di riprodurre una semplice madre con il suo bambino, nonostante la composizione riprenda quella delle Vergini donatelliane del gruppo di Casa Pozzi di Boston (Madonna delle nuvole) che il Mantegna certamente doveva aver tenuto presente. La figura curva e accovacciata della Madre evoca tutto il senso del tragico destino, assumendo una monumentalità plastica e prospettica il cui esempio più alto sarà rappresentato dalla Camera degli Sposi (affresco del 1474). 

Tra le altre ricordiamo il Seppellimento di Cristo, preso a modello da Raffaello, da Rembrandt e dallo stesso Durer, il grande incisore di Norimberga, attivo tra la fine del Quattrocento e prima metà del Cinquecento. Quest'ultimo, figlio di un orafo, apprese presso la bottega paterna a maneggiare il bulino e durante i suoi viaggi (Basilea, Venezia) approfondì le proprie conoscenze nel campo dell'illustrazione libraria ed ebbe occasione di avvicinarsi all'arte classica e rinascimentale italiana, soprattutto a quella del Mantegna e Bellini. 

Nel 1495 a Norimberga aprì una propria bottega e ottenne fama con la serie di 14 xilografie dell'Apocalisse, sequenza di immagini collegate da un pathos visionario e da grandi effetti luministici e di chiaro-scuro acquisiti con la variazione sottile dello spessore dei contorni e del tratteggio. 
Egli tocca l'apice della sua carriera con tre famosi bulini di complesso significato allegorico: Il cavaliere, la morte e il diavolo (metafora del soldato di Cristo in cammino verso la Gerusalemme Celeste), San Gerolamo (il santo immerso nei suoi libri, modello di vita contemplativa) e la Melencholia I (allude all'impotenza creativa del genio). 






Ereditando e rielaborando le esperienze della tradizione incisoria tedesca e assimilandole con le novità delle ricerche spaziali e anatomiche del Rinascimento italiano mise a punto dal 1512 per primo anche l'acquaforte, tecnica calcografica che consiste nel corrodere una lastra di metallo (un tempo si usava il rame) con un acido, per ricavarne immagini da trasporre su un supporto cartaceo per mezzo di colori. 

La diffusione delle sue opere fu immensa e stimolò l'attività artistica europea; degne di nota ad esempio sono la produzione di Giovanni Bellini e come vedremo del Parmigianino. 

Parallelamente in Italia settentrionale (Veneto e Lombardia) gli incisori furono indotti a sperimentare sempre nuovi procedimenti tecnici per allinearsi contemporaneamente alle innovazioni pittoriche: la maniera punteggiata, che attenua i contorni, di Giulio Campagnola è esplicativa in questo senso. 






A Bologna con Marcantonio Raimondi (prima metà del '500) ebbe inizio l'incisione di riproduzione, molto praticata sin nei secoli successivi e sino all'avvento della fotografia. Celebri quelle tratte dalle opere di Raffaello e quelle derivate dalle xilografie della serie della vita della Vergine di Durer. 

A Roma fondò anche una floridissima scuola e la sua attività raggiunse altissimi livelli negli effetti pittorici con l'uso del bulino, traendo spunto dalle tematiche dell'antichità classica. Roma, ancora verso la metà del XVI secolo, si configurava come il maggior centro del mercato europeo di stampe, ma nel contempo anche maestri incisori di opere originali, provenienti da altre parti d'Italia, furono sempre in maggior numero e grandi nomi firmarono opere di alta fattura. 

In particolare Francesco Mazzola, detto il Parmigianino (prima metà del Cinquecento) dopo aver frequentato la scuola del Raimondi e averne appreso i rudimenti, raggiunse i più alti vertici in Europa nell'incisione all'acquaforte. Tale tecnica, in grado di valorizzare ed esaltare il tocco pittorico e la libertà del segno grafico, nacque non a caso durante il Manierismo, periodo così teso alla ricercatezza formale e al virtuosismo tecnico. 

Gli artisti manieristi, interessati alla qualità pittorica dell'incisione studiavano modalità derivate sia dalla xilografia, come il chiaro-scuro, sia dall'acquaforte, come la punta secca (incisione in cavo tramite una punta metallica dura e acuminata che creando solchi, rialza dei filamenti metallici (barbe) i quali trattengono ulteriormente l'inchiostro conferendo il caratteristico segno vellutato). 






Le opere del Parmigianino, dalle forme allungate e fluide, risultano molto lontane dalle stilizzazioni del Maestro di Norimberga; ad esso si attribuisce l'innovazione di uno stile acquafortistico “libero e arioso”, in un certo senso opposto allo stile tradizionale dell'incisione a bulino, che non consentiva la stessa libertà d'espressione dell'acquaforte. Egli traccia il suo disegno direttamente sulla lastra con una punta d'acciaio, come fosse una matita su di un foglio. 

Il bulinista invece lavorava come un orafo su di un disegno già preparato e passato dal pittore all'incisore. Per il Parmigianino l'arte dunque, non è solo il risultato finale, ma il frutto di una ricerca che sperimenta tecnicamente le procedure.

 L'acquaforte fu largamente praticata nel '600: maestri “d'invenzione e capriccio”, quali Stefano della Bella, P.Testa, Giovan Battista Castiglione, J. Callot e Salvator Rosa per citarne alcuni e dall'altra Rembrandt e Seghers, due incisori olandesi, paesaggisti e studiosi degli effetti della luce e del chiaro-scuro, si avvalsero di due tecniche contemporaneamente, l'acquaforte e la puntasecca sulla medesima lastra, basate su un fitto tratteggio.
 
Tra i fiamminghi anche Gerard Edelink, formatosi ad Anversa dove diresse anche un laboratorio alla Manifattura Gobelins, storica ditta di tessitura di arazzi francesi. Riprodusse a bulino molti dipinti contemporanei, sia ritratti, sia soggetti religiosi (et adorent eum omnes angeli Dei dal pittore Jacques Stella, anch'egli stesso distintosi per lavori d'incisione su pietre dure, come lapislazzuli e onici). 






Nel XVII secolo l'incisione si trasformò in uno strumento di circolazione culturale a basso costo, fatto che decretò la fortuna della stampa, sfruttata spesso in funzione celebrativa dai regnanti di tutta Europa: Luigi XIV nel 1670 fondò l'istituzione della Calcografia Reale, e papa Clemente XII nel 1738 quella della Calcografia Camerale.

XVIII secolo: grandi artisti si cimentarono nell'acquaforte stampata in serie. M. Ricci, autore di 33 preziose acqueforti (paesaggi e vedute di Venezia) oltreché grandissimo disegnatore; Giovanni Antonio Canal, detto il Canaletto, ideatore del vedutismo veneto e riconosciuto uno dei maggiori maestri dell'epoca dai suoi stessi contemporanei, autore a partire dagli anni Quaranta di una copiosa produzione di acqueforti con vedute della città lagunare, delle rive del Brenta e di Padova.

Tiepolo Giambattista fu autore di raffinatissime acqueforti dei Capricci (1740) e degli Scherzi (posteriori), come il figlio Giandomenico svolse una vasta opera incisoria, riproducendo opere paterne ma anche realizzandone di proprie. Suo capolavoro è la serie della Fuga in Egitto (Wurzburg 1753).   

Di Giovanni Battista Piranesi, acquafortista e architetto, originario di Maiano di Mestre ricordiamo la grande opera incisoria Prima parte di architetture e prospettive inventate e incise da Gio. Batta Piranesi architetto veneziano, le cui fantasie architettoniche furono frutto d'ispirazione di vedute veneziane. 

Pubblicato nel 1743 e ampliato poi nel 1750 con il secondo ciclo. Famose anche le Vedute di Roma che, dapprincipio non progettate a costituire un vero e proprio ciclo, illustrano i più importanti monumenti della città. 

Esse nel tempo impegnarono quasi trent'anni anni della vita del Piranesi sino al 1775, diventando la sua opera principe. Lo studio dei monumenti e dei dintorni dell'Urbe lo appassionò sempre da pubblicare ancora un ciclo di incisioni dedicate alle antichità romane (1756) e alla alla magnificenza e architettura dei romani (1761). 



 incisioni all'acquatinta di grandi dimensioni, XIX secolo, realizzate da Jean Pierre Marie JAZET  
 
 incisioni all'acquatinta di grandi dimensioni, XIX secolo, realizzate da Jean Pierre Marie JAZET

Coppia di incisioni all'acquatinta di grandi dimensioni, XIX secolo, realizzate da Jean Pierre Marie JAZET



Fra gli stranieri del Settecento citiamo Hogarth William, il quale studiò da apprendista come incisore di stemmi nella bottega dell'argentiere Gamble, e dal 1720 fu autore di stampe satiriche tratte da fatti d'attualità.

Nicolas Bernard Lépicie, parigino e figlio di due incisori, iniziò a studiare la tecnica dell'incisione assieme al padre, prima di dedicarsi alla pittura; fu anche influenzato da J. B. Chardin, del quale imitò scene di genere e da cui trasse incisioni. 

Degno di nota è il genere del ritratto in cui si cimentò nella sua carriera; quello raffigurante il pittore Nicolas Bertin ne costituisce un bell'esempio.

Frey Jacob, detto Giacomo il vecchio, originario di Lucerna, fece le prime esperienze in loco, dopodiché si trasferì a Roma, dove svolse quasi interamente la propria attività. Le sue stampe più antiche sono le riproduzioni di una Sacra Famiglia e la Madonna del diadema di Raffaello.

Maurice Baquoy incise una serie di vignette tratte dalla storia di Francia di Gabriel Daniel e dai disegni di Boucher, oltreché paesaggi, vedute e una battaglia navale. 

Cominciarono a sorgere botteghe dove gli artisti incidevano le loro lastre e dove venivano accuratamente conservate le matrici. La maggior calcografia fu quella di Roma, istituita nel 1738 e conosciuta come Calcografia Nazionale al cui interno si custodivano celeberrime matrici. 
Anche celebri sono le Calcografie di Madrid e del museo del Louvre di Parigi. Anche molte pinacoteche italiane conservano sezioni dedicate alle stampe (i cosiddetti Gabinetti di stampe).



A cavallo tra '700 e '800 grande fama ebbero gli italiani Bartolozzi e G. Volpato, ma uno dei maggiori esponenti di tutti i tempi fu Francisco Goya, che elaborò due tecniche innovative di particolare effetto pittorico: l'acquatinta e la litografia. 
L'acquatinta è un'incisione indiretta ed è considerata una variante dell'acquaforte poichè le corrosioni avvengono con l'aiuto di un acido. 
Tecnica di carattere tonale: realizza l'immagine mediante aree di intensità e forma controllata. Per tale procedimento si interviene sulla matrice con uno specifico trattamento che corrode la superficie della lastra determinando delle rugosità, dette graniture, che trattengono l'inchiostro di stampa. 

L'acquaforte andò incontro un lento declino nel XIX secolo e venne soppiantata dalla litografia che consentì una maggior velocità d'esecuzione dei soggetti e che accompagnò la storia dell'illustrazione e del giornalismo fino alla nascita delle tecniche fotomeccaniche. La matrice litografica è fatta di pietre con caratteristiche particolari, oppure è costituita anche da una sottile lastra di zinco o di alluminio. Sulla superficie l'immagine è solamente disegnata, cioè senza rilievo e senza incavo; è una matrice “in piano”. 
Il torchio è composto da un rigido piano di legno o di metallo detto “carrello” che poggia e scorre su di un grosso rullo portante. 

Molti artisti dell'800 e del '900 la utilizzarono sfruttando le potenzialità tecniche ed espressive del nuovo sistema di incisione (Toulose Lautrec, Pablo Picasso, Paul Klee). 
In questo periodo si assiste alla rinascita dell'incisione originale intesa come mezzo di espressione artistica fine a se stessa: oggetto di collezionismo, il suo valore commerciale venne difeso da tirature limitate e numerate. In essa si sono cimentati quasi tutti i pittori moderni e contemporanei da Chagall, Derain, Leger a Kokoschka, Picasso, Mirò e Dalì fino a Carrà, Morandi e Guttuso. 



Manuela Alotto






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