IL BRONZO: LE ORIGINI E LE ANTICHE TECNICHE DI LAVORAZIONE

La fusione: arte “magica”

 

Fra tutte le arti, non ne conosco…di più nobili delle arti che richiedono il fuoco…esse ripropongono la lotta serrata tra uomo e forma. Il loro elemento essenziale, il fuoco è anche il loro maggior nemico. E’ un elemento di temibile precisione”.

 

Paul Valery riteneva le arti del fuoco le più degne di venerazione, poiché, imitando l’opera di un demiurgo, plasmano la materia modulandola sulle forme della natura.

Il fuoco come mezzo di incontro tra natura e artificio umano, tesi al comune progetto di creazione dell’arte.

La fusione dei metalli, complice tutta una serie di rituali necessari a cui era legata, si trovava ad essere circondata da un alone di magia, che conferiva un’immagine di straordinario potere a colui che lavorava i metalli.

 

Il fonditore ha la potenzialità di ritrasformare, con la fusione, un oggetto artistico in materia bruta, mediante un processo ripetibile all’infinito; ciò gli attribuisce doti vicine a quelle della natura che crea e dissolve per ricreare nuove forme.

Dagli antichi sacerdoti egiziani e sino agli alchimisti del Rinascimento si credette che il fuoco possedesse la proprietà magica di trasformare i metalli in oro puro.

Per questo ancora oggi la fusione continua ad esercitare un certo fascino.

 

Le origini

 

Probabilmente dal persiano biring (rame), il bronzo è una lega metallica, formata per la maggior parte da rame e stagno, conferenti caratteristiche di malleabilità e durezza, a cui si aggiungono altri metalli (zinco, piombo).

Fin dall’antichità fu apprezzato quale materiale che più si prestava all’arte della statuaria grazie a definite peculiarità: facile fusibilità, colabilità, maggior resistenza alle intemperie e urti (la conservazione nel tempo si ottiene con una periodica manutenzione), leggerezza e facile trasportabilità, bellezza della patina, oltreché una tonalità calda in grado di apportare una luminosità difficilmente imitabile.

 

Il bronzo definisce anche un’intera età preistorica, compresa tra quella della Pietra e quella del Ferro; presente nella civiltà egizia Accadica (III millennio a.C.) e in quelle cretese-micenea, cinese e indiana.

Tra i più antichi bronzi orientali troviamo i vasi rituali della Cina arcaica (II millennio a.C.), con forme diverse a seconda della funzione a cui erano adibiti. Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce vasi sepolti e ricoperti interamente da una patina, molto stimata dagli antiquari cinesi dei primi secoli dell’Era Volgare.

Dall’Estremo Oriente, in cui trovò ampia applicazione nelle suppellettili domestiche, nella forgiatura delle armi, mobili, accessori d’abbigliamento (fibbie, ornamenti) si diffuse nella Grecia arcaica (viii-vi secolo a.C.) dove si realizzarono statue in lamine battute.

In seguito si diffuse nel mondo latino, di cui i numerosissimi manufatti testimoniano il forte utilizzo. I ritrovamenti settecenteschi dei reperti di Ercolano e Pompei documentano, nel loro eccezionale stato di conservazione, l’altissimo livello formale raggiunto dagli artisti dell’epoca antica.

Non solo, le suppellettili delle case di Ercolano e Pompei costituirono una fonte d’ispirazione e un modello per arredi, mobili e oggetti decorativi, decretando nuove tendenze del gusto, sviluppatosi negli anni ‘70 del  xviii secolo.

L’antico fu mutuato nelle forme e nei materiali: sedie, sgabelli, candelabri, tripodi.

Emblemi dell’arte greca del v secolo a.C. e di straordinaria fattura sono i noti Bronzi di Riace, immersi nelle acque marine per millenni, riemersi nell’agosto 1972 e divenuti i simboli della città di Reggio Calabria.

Al mondo classico-romano risalgono anche le prime testimonianze scritte inerenti al bronzo: Plinio il Vecchio, nella Naturalis Historia (xxxiv libro) riferisce a lungo dei vari tipi di leghe metalliche (deliaca, eginetica, corinzia, tirrenica).

 

Lo sviluppo dai tempi antichi all’epoca moderna

 

Il bronzo è lavorabile solo per fusione, a differenza ad esempio del ferro che, reso rovente, può essere forgiato con un martello e assumere la forma desiderata.

Infatti, un pezzo di bronzo, surriscaldato, si frantumerebbe alla prima martellata, invece, fuso e colato in un recipiente cavo, ne assumerà la forma.

 

Secondo la tradizione, l’arte fusoria sarebbe nata già a partire dal vi secolo a.C. ad opera di Reco e Teodoro dell’isola di Samo attraverso conoscenze tecniche tramandate dall’antico Egitto. Col tempo fu introdotta anche la pratica della fusione dei singoli elementi separati e saldati in un secondo momento.

Le tecniche di applicazione che seguirono furono sempre più approfondite, al punto di giungere alla perfezione già nella prima metà del v secolo a.C.

Mutarono anche le dimensioni degli oggetti nel corso del tempo: dai piccolissimi bronzi si pervenne ai grandiosi colossi, spesso dorati, molto amati dall’arte romana.

Proprio per queste grandi statue si usavano intarsi d’argento e rame, talvolta, per particolari anatomici come unghie e labbra, e smalti a pasta vitrea per gli occhi.

Le conoscenze tecniche ereditate dall’antichità e l’importazione frequente di opere dall’Oriente (soprattutto da Bisanzio) i cui popoli avevano raggiunto anch’essi un livello notevole di abilità nel trattare il bronzo, ne consentirono un larghissimo impiego presso tutti i popoli nel Medioevo, sia nelle arti maggiori che in quelle minori.

Mentre nel resto d’Europa ricomparve solo in età carolingia, quando, alla fine del i millennio, la tecnica iniziò a perfezionarsi sino a giungere ad una produzione di altissima qualità, in Italia non se ne erano mai perse del tutto le tracce fin dai tempi antichi.

All’epoca di Carlo Magno risalgono gli esemplari più belli di pezzi da gioielleria per l’ornamento della persona, come fibule e spille.

Capolavori della scultura bronzea in Germania si ebbero nell’età ottoniana, per la quale, degne di nota, sono le porte della cattedrale di Magonza e quelle della cattedrale di Hildesheim.

L’epoca romanica e gotica furono periodi fiorenti e di perfezione tecnica sia in Italia che nel resto d’Europa; lo testimoniano gli acquamanili, vasi che si usavano a tavola per versare acqua tra una portata e l’altra, le cui forme si ispiravano ad elementi naturalistici o grotteschi, con raffigurazioni di leoni, centauri, grifoni, dalle cui bocche fuoriusciva l’acqua; utilizzati anche nelle chiese per cerimonie rituali, rimasero in uso sino al xv secolo inoltrato.

Altri oggetti in bronzo erano candelabri e altre suppellettili, campane, fontane.

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Nell’Italia rinascimentale la Schedula diversarum artium del monaco Teofilo, che conteneva preziose informazioni sulle modalità tecniche, contribuisce alla diffusione delle tecniche di lavorazione.

E’Firenze ad ottenere il primato in maestria nel campo della fusione di soggetti a grandi dimensioni (nell’epoca della Rinascita il bronzo si affermò quale materiale d’eccellenza del monumento onorario); ma Firenze e Padova si distinsero anche per la creazione di bronzetti ispirati all’antico.

Infatti accanto alle mirabili porte del duomo di Verona, Pisa, Amalfi, Orvieto e del battistero di Firenze (quest’ultimo per opera di Andrea Pisano e Lorenzo Ghiberti), si documenta la formazione di un grande patrimonio di opere di più piccolo formato e di pregevole fattura artistica, sia in ambito sacro che profano.

 

Benvenuto Cellini, grande scultore, orafo e argentiere del Cinquecento, firma il periodo, in cui la conoscenza della natura e delle tecniche dei metalli raggiunge gradi di altissimo livello. Tali competenze acquisite nel tempo grazie alla ricerca ed esperienza permisero al bronzo, ritenuto per secoli, metallo povero, di assurgere ora al medesimo rango di nobiltà dell’oro e dell’argento.

Nel Settecento il bronzo si riveste di dorature per divenire il materiale più utilizzato per le applicazioni decorative su mobili, tavoli, scrivanie, lampadari, appliques.

Con l’Ottocento gli Impressionisti (Degas) e i maggiori scultori (Rodin) ricorsero a questo metallo in quanto in grado di mantenere più fedelmente possibile l’immediatezza creativa del modello in cera.

Infine l’arte moderna (Picasso) il cui concetto chiave era la creazione di significative associazioni, impiegò il bronzo per fonderlo negli oggetti più disparati.

 

La fusione “a cera persa” e alcune fonti sulle tecniche antiche

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Una delle tecniche più utilizzate è quella detta “a cera persa”, che comporta più fasi operatorie e di cui abbiamo conoscenza grazie a diverse testimonianze scritte.

Conosciuta già dagli antichi per la fusione di statue cave di grandi dimensioni (tra gli esempi meglio conservati, si annoverano i già citati Bronzi di Riace), passò in disuso durante il Medioevo, restando viva solo nell’Impero bizantino.

Furono invece sempre praticate fusioni in bronzo di piccoli oggetti, ma si trattava, comunque, di opere “piene”, impossibili su grandi dimensioni.

La tecnica fu ripresa nell’età rinascimentale, in linea con l’ispirazione agli aspetti della civiltà classica. La prima statua di grandi dimensioni fusa con la tecnica della cera persa, fu il San Giovanni Battista (1412-1416) di Lorenzo Ghiberti; essa venne realizzata in più pezzi separati, assemblati in un momento successivo.

Rispetto alla pietra, la tecnica del bronzo aveva numerosi vantaggi, primo su tutti la maggior compattezza del materiale che consentiva un dinamismo del soggetto nello spazio più libero senza timori di fratture; ciò a vantaggio di risultati di maggiore naturalezza e realismo.

 

Ma in cosa consisteva precisamente il procedimento?

Dapprima si realizzava il modello in cera secondo la forma che si desiderava creare, si ricopriva il tutto con un getto di terra refrattaria e in seguito al primo indurimento della stessa, si poneva in forno per la cottura.

La temperatura provocava lo scioglimento della cera e l’indurimento ulteriore del blocco di terra refrattaria.

Ora il vuoto, lasciato libero dalla cera è pronto per essere riempito dal bronzo fuso, che assumerà la forma della scultura.

Infine, a raffreddamento avvenuto, si romperà lo strato di terra e la scultura in bronzo verrà “liberata”.

La cera risulta essere completamente sciolta, da qui la definizione “a cera persa”.

Lo strato più superficiale è detto “pelle” del bronzo ed è soggetto a ulteriori lavorazioni, per mezzo di scalpelli e lime, in modo tale da rimuovere sbavature e imperfezioni formatisi durante la cottura della terra.

 

In merito alla modalità di creare la terra disponiamo testimonianza tratta da scritti di artisti dell’epoca:

Vannoccio Biringuccio (Siena, 1480-1539?), maestro artigiano nella fusione e metallurgia tra la fine del Quattrocento e prima metà del Cinquecento nel suo celebre trattato De pirotechnia[1] descrive di che qualita esser debba la terra da far le forme da tragitar bronzi: Molte son le…. varieta dele terre che si fan le composition…per far le forme per tragittarvi dentro bronzi ottoni o laltri metalli, …delle quali si debba cercare…che regga bene al fuoco, et che sia disposta a ricever bene li metalli, et ancho che renda al gitto netto…Le buone [terre] hanno da esser quelle che non sonno ne grasse ne magre, et che non sonno in tutto morbide ne ruvide, et che abbino la lor grana sottile…son comunemente di color giallo o rosse…

 

Benvenuto Cellini (Firenze, 1500-1571) che, secondo tradizione, impiegò unicamente la tecnica “a cera persa”, nel suo Trattato della scultura (1568) dà una dettagliata descrizione in merito ed anch’egli riferisce della modalità di creare la terra.

In Dell’arte del getto dei bronzi[2] leggiamo:…si piglia quella terra che serve per i maestri di artiglieria…et avvertiscasi che questo è un segreto mirabile, che non è mai stato usato…Mescolisi la terra con la cimatura, di poi si bagni bene con l’acqua…che lascia come pasta da fare il pane, e con una verga di ferro grossa dua dita battasi diligentemente. Et il segreto è questo, che la vorrebbe essere mantenuta molle quattro mesi…e quanto più sta, è tanto meglio, perché la cimatura marcisce, e per essere così marcia, la terra diviene come un unguento…spiega che la terra divenendo grassa “accetta meglio il metallo”.

 

Ancora Cellini in Un altro modo si usa per fare figure di bronzo di getto, quando le figure siano grandi quanto il vivo, o poca cosa più:

Fatta la figura con la cimatura già detta e lavoratala sia a fresco che a secco, la si copre di stagnola da pittori… per appiccicare detto stagnuolo in su detta figura di terra pigliasi tanta cera quanta trementina e faccisi struggere in un calderone;…e così bollente sia di sopra la detta figura con un pennello a tutta la detta figura sottilissimamente…e sopra quello da poi si applicherà benissimo il detto stagnuolo…di poi che è gittata la figura di bronzo…

 

Anche Giorgio Vasari firmò un trattato sulla scultura[3], in cui illustra come si fanno i modelli per fare di bronzo le figure grandi e picciole, e come le forme per buttarle…

Usano gli artefici eccellenti, quando vogliono gittare o di metallo o di bronzo figure grandi, fare nel principio una statua di terra tanto grande quanto quella che è…Fatto questo, che si chiama da loro modello parte per parte, facendo addosso a quel modello i cavi pezzi; e sopra ogni pezzo si fanno riscontri, che un pezzo con l’altro si commettano…Così parte per parte lo vanno formando, e ungendo con olio fra gesso e gesso dove le commettiture s’hanno a congiungere; e così di pezzo in pezzo la figura si forma, e la testa, le braccia, il torso e le gambe…di maniera che il cavo della statua, cioè la forma incavata, viene improntata nel cavo con tutte le parti ed ogni minima cosa che è nel modello. Fatto ciò, quelle forme di gesso si lasciano assodare e riposare: poi pigliano un palo di ferro, che sia più lungo di tutta la figura che vogliono fare e che si fa a gettare, e sopra quello fanno un’anima di terra; la quale morbidamente impastano, vi mescolano sterco di cavallo e cimatura; la quale anima ha la medesima forma che la figura del modello, ed a suolo si cuoce per cavare l’umidità della terra…perchè gettando la statua, tutta questa anima, ch’è soda, vien vacua, né si riempie di bronzo che non si potrebbe muovere per lo peso: così ingrossano tanto e con pari misure quest’anima, che scaldando e cocendo i suoli, come è detto, quella terra vien cotta bene, e così priva in tutto dell’umido, che, gettandovi sopra il bronzo…Così vanno bilicando questa anima, e assettando e contrappesando i pezzi, finché la riscontrino e riprovino, tanto ch’eglino vengono a fare che si lasci appunto la grossezza del metallo, o la sottilità, di che vuoi che la statua sia …e cavatene interamente l’umidità…si lascia riposare…e ritornando a’ cavi del gesso, si formano quelli pezzo per pezzo con cera gialla.

[1] Pubblicato postumo a Venezia nel 1540; il passo qui riportato è tratto dal capitolo primo, il successivo dal capitolo quinto di De la pirotechnia.

[2] Paragrafo contenuto nel Trattato della scultura del Cellini.

[3] Della scultura, capitolo IV in Giorgio Vasari, Le vite e’più eccellenti pittori, scultori ed architettori, ed. a cura di G.Milanesi, Firenze 1906.

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